Secondo figlio di Alexej Ivanovich un bravo falegname e di Anna Timofeyevna domestica senza grande istruzione ma appassionata lettrice, Yuri Gagarin venne alla luce il 9 marzo 1934.
La vita trascorreva tranquilla nel villaggio di Klushino, 160 chilometri a sud di Mosca e a Yuri fu impartita una educazione secondo solidi principi: rispetto, istruzione, onestà, lavoro e antipatia verso il servilismo.
La famigliola fu scacciata dalla loro casa e Boris, il fratellino, rischiò di morire quando un nazista lo impiccò a un a un albero con la sua sciarpa; fortunatamente i genitori giunsero in tempo a rianimarlo.
All’inizio del 1955 Yuri prese una decisione destinata a mutare il corso della sua vita, decise di iscriversi a una scuola serale di volo.
“Solo la musica” dirà in seguito “avrebbe potuto dare espressione alla mia gioia per il volo“.
Divenuto pratico e piuttosto abile con la cloche decise di spingersi oltre e di entrare a far parte dell’aviazione sovietica.
Nel gennaio del 1956 , il cadetto Yuri Gagarin prestava giuramento al Popolo, al Partito Comunista e allo Stato.
Fu la grande impresa spaziale che spinse Yuri a terminare gli studi con rinnovato ardore e soprattutto, visto che si parlava già di inviare uomini nello spazio, a pensare di poter essere lui, un giorno, a essere tra quegli uomini.
Gli uomini del governo furono mandati in ogni base a tenere colloqui individuali con ogni pilota; al termine di questi, i selezionati furono inviati a Mosca, presso l’ospedale militare per ulteriori, misteriosi, accertamenti. Yuri, fu tra questi.
Di 2200 candidati ne furono selezionati alla fine solo venti. Entrato a far parte di quella ristretta elite, Yuri e la sua famiglia furono trasferiti a una nuova sede nelle vicinanze di Mosca.
Il 25 gennaio 1961 Gagarin apprese che il suo nome era tra i sei che si sarebbero giocati il volo verso lo spazio
La Commissione per la nomina a primo astronauta decise: Gagarin sarebbe stato il primo cosmonauta sovietico, Titov la riserva e Nelyubov la riserva della riserva.
E la mattina del 12 aprile alla fine giunse puntuale e con essa la storia. Dopo la vestizione Gagarin, Titov e Nelyubov privo di tuta spaziale, furono portati con l’autobus all’appuntamento con il razzo R-7.
Durante il tragitto la tensione costrinse Yuri a una sosta non programmata e fu necessario fermare il mezzo per permettere a Yuri di fare un “bisognino”.
Lo stop inatteso inaugurerà tra i cosmonauti russi una ferrea tradizione che dura ancora oggi: uno stop per far pipì prima del lancio.
Finalmente Yuri entrò dentro la capsula. Gli ultimi controlli, il ripasso veloce delle procedure di emergenza e del codice di sblocco dei comandi manuali, poi il portellone della capsula si chiuse.
Per alleviare l’attesa fu messa della musica come aveva chiesto tra il serio e lo scherzoso Yuri. Alle 8.51 la musica fu interrotta dalla voce di Korolev.
Comunicazioni in rapida successione poi “chiave di lancio in posizione di partenza” ..”aria liberata. Accensione“.
“Si va!!” urlò Yuri e il razzo si levò dalla terra.
Il viaggio di Gagarin era appena iniziato.
Dopo 9 minuti dal lancio, la Vostok 1 era in orbita terrestre
“Mi sento bene , il volo procede regolare….La Terrà è azzurra. Vedo le nuvole. E’ bellissimo!”.
La navetta, dopo venti minuti, si portò sul Circolo Polare Artico, poi verso il Pacifico del nord. Dopo aver scambiato qualche battuta con l’amico Leonov, che non sapeva chi sarebbe stato tra Yuri e Titov ad andare in orbita per primo, Gagarin si trovò sopra l’Atlantico del Sud.
“I Russi hanno un uomo nello spazio e gli Stati Uniti dormono“, commentarono amaramente i quotidiani statunitensi il giorno dopo.
Dopo 79 minuti si accesero i retrorazzi di rallentamento e, tutto in modo automatico, la navetta assunse la giusta orientazione per far rotta di ritorno.
Durante la fase del rientro i problemi non mancarono. La navetta perse l’assetto, lo scudo termico rischiò di venir bruciato e la navetta compì vorticose rotazioni intorno a se stessa che per poco non fecero perdere i sensi al cosmonauta a bordo.
A settemila metri il portellone si aprì e Gagarin fu espulso fuori.A 4000 si separò dal sedile e si aprì un grande paracadute.
Con quella grande coperta sulla testa Yuri si ritrovò poco dopo in quel morbido campo della grande Russia abbracciato da un’anonima contadina di nome Anna Taktarova.
Poi arrivarono gli uomini del regime che presero l’eroe dell’Unione Sovietica e lo portarono a Kuibishev, oggi Samara, dove provato e stanco parlò al telefono con Nikita Kruschev. Lì fu accolto trionfalmente da colleghi, scienziati uomini del regime e quanti altri avevano partecipato a scrivere quella pagina di storia.
I familiari era riuscito a sentirli solo per telefono e dovettero aspettare il 14 aprile quando Yuri fece il suo ingresso a Mosca per riabbracciare il figlio prodigo.
Iniziarono così per Yuri interminabili bagni di folla.
Radio, televisioni e carta stampata si contendevano foto e dichiarazioni del cosmonauta.
Fu nominato ambasciatore di pace tra Usa e Urss e iniziò un lungo tour mondiale che gli avrebbe fatto toccare svariati punti del globo terrestre.
Nel 1963 Yuri riprese a studiare. Le nuove leve dei cosmonauti erano agguerrite e non bastava essere abili piloti per andare nello spazio.
Nel 1964 approdò alla prestigiosa Accademia Zukovskij di Mosca dove alla fine discusse una tesi che prendeva in considerazione l’ipotesi di utilizzare una navetta dotata di ali che consentisse un rientro sulla terra pilotato dagli astronauti.
Insomma, Yuri stava pensando a qualcosa come lo shuttle venti anni prima dello shuttle.
Ma la situazione stava volgendo al peggio. Era vero che il programma sovietico stava bruciando le tappe e mieteva un successo dietro l’altro ma era anche vero che la situazione nascondeva degli enormi problemi. Per necessità politiche e di propaganda non erano ammessi ritardi nella conduzione del programma spaziale e questo, ormai era una prassi, significava soprassedere sulla sicurezza degli astronauti.
Le cose peggiorarono quando Krushev venne deposto da Brezhnev.
Anche Gagarin ne fece le spese come più fulgido esempio del felice periodo governato da Krushev.
Le sue apparizioni in pubblico diminuirono e fu sorvegliato con ancor più accanimento dai servizi segreti che avevano provveduto ad allontanare le abituali guardie del corpo perché divenute ormai troppo amiche e confidenti.
Mentre si succedevano le imprese di Valentina Tereschkova, prima donna astronauta, di Leonov con la sua passeggiata spaziale e dei tre astronauti a bordo della Voshkod 1, Gagarin ebbe la conferma dei suoi sospetti nei confronti del regime quando Sergei Korolev si ammalò gravemente.
Nel gennaio del 1966 il progettista capo dell’interno programma spaziale sovietico fu ricoverato per una operazione all’intestino. Le sue condizioni erano pessime e il suo fisico, minato dalla prigionia in Siberia e dai ritmi di lavoro sostenuti per tener testa al suo programma, non resse all’operazione. Un’emoragia che i medici non riuscirono ad arrestare stroncò la vita del Von Braun sovietico. Ma Korolev, due giorni prima della fatale operazione, aveva fatto in tempo a raccontare la sua vicenda umana sotto la dittatura stalinista e il racconto colpì profondamente Yuri.
Crebbe il suo disappunto nei confronti della nuova nomenclatura sovietica e decise che sarebbe ritornato nello spazio; anzi promise che avrebbe portato le ceneri di Korolev sulla Luna e per questo si gettò a capofitto con la determinazione che lo distingueva negli studi.
Riuscì ad ottenere una prima vittoria quando si fece nominare sostituto cosmonauta per l’imminente missione Soyuz 1.
Una missione che, come tutti sapevano, era, però, una tragedia annunciata.
Il primo cosmonauta della missione, Vladimir Komarov, sapeva benissimo che quel volo a bordo della Sojuz sarebbe stato assai probabilmente un volo senza ritorno; e lo sapeva anche Gagarin.
Invano lui e altri colleghi cosmonauti avevano redatto un documento di dieci pagine sulle falle di quella missione: la Sojuz era una bara volante e le autorità dovevano sapere e sospendere il volo.
Ma la corsa allo spazio non ammetteva deroghe o ritardi. La politica entrò pesantemente nei programmi spaziali e la Sojuz era pronta a partire il 23 aprile 1967 insieme ai suoi 203 documentati difetti di costruzione.
Molti di coloro che avevano lavorato alla stesura di quel documento furono allontanati dal programma spaziale sovietico e caddero in disgrazia.
Gagarin cercò in tutte le maniere di annullare il lancio e addirittura di prendere il posto dell’amico Komarov.
Tutto inutile. La lunga mano del regime aveva preso in mano ogni cosa.Il 23 aprile Komarov partì.E come tutti sapevano Komarov non tornò vivo da quella missione.
Gagarin ne fu sconvolto. Si sentiva tradito da quella patria che aveva tanto amato.
Anche la situazione alla Città delle Stelle, il centro spaziale sovietico, era divenuta ormai insostenibile. I nuovi astronauti, tra i quali spiccava Georgji Beregovoi, erano l’espressione più arrivista e spietata del regime sostenuto da Brezhnev e, soprattutto, ben ammanicata col potere centrale.
Di fatto Beregovoi, che non amava affatto Gagarin, iniziò lì una carriera inarrestabile che dalla partenza con la Sojuz 3 nell’ottobre del 1968 lo vedrà arrivare nell’arco di quattro anni alla direzione della Città delle Stelle.
Al testardo figlio di contadini della madre Russia rimasero solo i microfoni spia che il KGB gli aveva messo ovunque.Gagarin era divenuto inaffidabile, un pericolo per i programmi del regime.
Era un eroe della Russia, e per quello veniva trattato: una sorta di marionetta osannata dal mondo ma alla quale erano state azzerate le possibilità di tornare a volare e di mettere bocca sui programmi spaziali.
Neanche sui MiG riuscì più a maturare significative ore di volo, tanto che l’odioso Beregovoi non perdeva occasione di sottolineare come lui, eroe pluridecorato di guerra, era nettamente superiore a Gagarin.
Ma lo spirito del combattente era ancora forte in colui che per primo era andato nello spazio, e pertanto decise di rivolgersi a un istruttore esperto, Vladimir Serugin, per tornare a volare su caccia. Fu la scelta che gli costò la vita.
Un giorno di marzo del 1968, mentre Valya era ricoverata in ospedale, Gagarin e Serugin, presero il volo con il loro Mig 15. Quello che accadde dopo è ancora oggi in gran parte un mistero. Un mistero sul quale pochi possono, o potevano, far luce.
L’aereo di Gagarin e Serugin si schiantò al suolo. Dei due piloti a bordo non ne rimasero che miseri brandelli.
Le autorità sovietiche si affrettarono a dire che il loro eroe aveva perso la vita in un banale incidente aereo.
Furono avviate numerose commissioni, tutte depistate o insabbiate dal Kgb.
I detrattori più feroci e spietati insinuarono anche il dubbio che i piloti fossero ubriachi. Gli esami condotti sui poveri resti del corpo di Gagarin smentirono la calunnia.
Il grande amico del cosmonauta, Leonov, insieme ad altri colleghi, iniziò la sua indagine personale da quale emersa una ipotesi mai suffragata: un aereo supersonico di nuova concezione per quei tempi, un Sukoi, avrebbe interferito con il volo del vecchio Mig di Gagarin; in particolare l’onda sonora prodotta dal superamento della barriera del suono avrebbe fatto perdere il controllo del mezzo ai due piloti.
Nel 1986 fu avviata una nuova inchiesta, grazie all’instancabile lavoro di Leonov.
Si scoprì che le relazioni furono alterate, i testi cambiati e modificati, mani misteriose firmarono dichiarazioni fasulle.
Insomma, furono cambiate tutte le carte in tavola, per coprire le lacune dell’apparato sovietico in ogni ordine e grado.
Un misto di ipocrisia segretezza e corruzione aveva fatto il resto.
“Non ci sono disgrazie nella vita, solo cause che conducono a disgrazie“, disse il fratello Valentin.
Il 30 marzo 1968 l’Unione Sovietica tributò al suo Eroe i funerali di Stato.
Il 12 Aprile del 2011 Google dedica all’anniversario del lancio la seguente doddle:
Il valore di una persona si misura in quello che fa e non in quello che dice, lui era un grande Uomo, nessun disonesto nel mondo potrà cancellare quello che ha fatto e quello in cui credeva ! Cosi vale per ognuno di noi …complimenti per l’ articolo, l’ informazione fra noi è l’ unica arma che abbiamo per lottare contro i prepotenti e le loro falsità.
Siamo pochi ma valiamo per tanti! (20%) esagero? No 🙂